mercoledì 19 gennaio 2011

STYLE ADDICTED: ESSERE DANDY OGGI


"Non sono affatto interessato all'immortalità. L'unica cosa che mi importa è il sapore del mio Martini".
 Fiancheggia l'immagine di un bicchiere scintillante di cocktail, questa frase del blog "Dandy's" (verydandyblog.blogspot.com).
Come sottotitolo campeggia un: "Dandy ironic fashionable elegant extravagant magic".
Quando A. mi aveva proposto il tema "dandismo", l'associazione di idee era stata immediata: Oscar Wilde, Dorian Gray, la vita come opera d'arte, bellezza.
Poi la domanda: questo "movimento culturale del diciannovesimo secolo" si è estinto?





A. una volta aveva definito "dandista" Philipe Daverio (giornalista e critico d'arte, conduttore di Passepartout).
Allora ho googlato "dandismo" e sono arrivata così alla massima d'apertura riportata sopra.
"Il sesso è come il Martini Dry: stessa durata, stesso effetto, più o meno stesso valore".
"Mai piangere sul latte versato. Piuttosto sul Martini sprecato".
"Nei momenti più difficili ci si può sentire come un'oliva in fondo a un bicchiere, ma quando il Martini finisce si ritorna a galla".
Sfondo nero, un font minimal, frasi brevi che si susseguono come stilettate di ghiaccio.
Ci sono frammenti di poesie di Bukowsky, modelli eterei, vestiti Dior, dalla pelle diafana, scatti in bianco e nero di epoche più o meno lontane.
Eleganza, sadismo, sesso, filosofia: tutto viene descritto in un susseguirsi di immagini e citazioni rapide come raggi di luce nebbiosa sullo schermo scuro come pece. Anche la morte "ammicca" tra una parola e un'altra.
Guardo la data dell'ultimo post pubblicato: 17 gennaio 2011.
Quindi il dandismo esiste ancora.
O perlomeno c'è qualcuno che ancora si professa suo "seguace".
Ma il dandismo è una corrente di pensiero? O più semplicemente un atteggiamento, una visione di tutto ciò che può riguardare l'essere umano, ossessioni, famiglia, amore?
Clicco su "post più vecchi", e mi ritrovo a ripercorrere due anni circa (il primo  è del 2008) di pensieri e fotografie cercando di trovarci un senso, un motivo conduttore, e (perché saremmo qui, se no) un fil rouge di collegamento.
C'è Domenico Modugno bello ed eterno giovane nel suo frac.
C'è l'elogio della solitudine e quello della sigaretta ("Sono troppo codardo per suicidarmi. Per questo fumo. Non fuggo la morte la parcellizzo").


C'è l'elegante ed enigmatico Chuck di Gossip Girl nei suoi migliori completi da sera, c'è Sex and the city, c'è la feroce Miranda de Il diavolo veste Prada, c'è il cappello a tesa larga di Colazione da Tiffany.
La malinconia che aleggiava nei caffè ottocenteschi, vetri colorati, lunghe gonne, crinoline, e desiderio di evadere, di ricercare una propria identità, di distinguersi. C'è anche quella.
E poi c'è la definizione di artista,
"Deve amare la vita e mostrarci che è bella"
di felicità,
"Happiness is a dry Martini"
 di trascuratezza,
"La trascuratezza nel vestire è un suicidio morale"
di fascino,
"Il fascino non è cosa si fa, ma come lo si fa. Non è quello che si dice, ma come lo si dice, e soprattutto è lo sguardo con cui lo si fa e lo si dice"
C'è la definizione di stile.
Icona di pensieri e di parole, lo stile è
"sapere chi sei, cosa vuoi, anche se infine non te ne frega nulla" (Federico Fellini).
Essere "dandy", essere "stylish" non significa essere perfetti.
La perfezione non è del peccato, del "dolce peccato".
La perfezione non c'entra.
Audrey Hepburn interpretò il ruolo della prostituta d'alto borgo ma lo fece con stile. Con quel sapore di magia e di innocenza che neanche la prorompente Marylin Monroe ha saputo cancellare. Non c'era nulla di perfetto nella sua casa senza mobili e nella sua vita sgangherata, ma in lei non esisteva neppure la volgarità. Mai, riferendosi a lei, viene pronunciata la parola "puttana".
"La fragilità del cristallo non è una debolezza, è una raffinatezza" (Into the wild)
Baudelaire definisce il "dandy" come un essere "eternamente superiore". Ma il libriccino dove lo afferma si intitola Il mio cuore messo a nudo.
Non c'è niente di costruito nel dandy.
"Da come una donna si veste si indovina la sua disponibilità a spogliarsi".
Non è importante solo come una donna si abbiglia, ma anche come si priva di quell'involucro di stoffa, cosa mostra con il suo corpo indifeso.
Non c'è amore né fedeltà nel dandy. Solo sfrenata passione.
"Una Parigina innamorata smentisce la sua natura e vien meno alla sua funzione: esser di tutti, come un'opera d'arte".
Chi è allora il dandy?
O dovrei chiedermi: che cos'è allora lo stile?
Lo stile è il "savoir vivre", è il modo in cui stiamo al mondo.
È ciò che in fondo ci fa essere unici. E quindi insostituibili.
Indimenticabili.
Immortali?
Lo scatto di una fotografia non ci rende immortali?
Un'opera letteraria non ci rende immortali?
E una composizione in note?
Una linea di vestiti?
"Lo stile è ciò che unisce la memoria, l'ideologia, il sentimento, la nostalgia, il presentimento con la maniera in cui noi esprimiamo tutto questo".
È quel "quid" che fa la differenza.
È una scintilla,
un accento di vita,
un "nonsoche".
È ciò che ci fa diventare speciali.
E che può rendere ogni giorno intenso come una vita intera.
V.

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