AGENDA

Sabato 28 maggio 2011

Sfilata senza regole: la bellezza, così come la scegli tu
Un pomeriggio in passerella: donne e uomini (sta)ordinari, star per un giorno


"È tutta 'colpa' della mia vena creativa: quando non le do sfogo per troppo tempo, rischia di esplodere".
È nata così, da un'intuizione, da una necessità d'espressione, la "Sfilata senza regole".
Cinzia, la mia parrucchiera, ha un salone che in breve tempo è diventato per donne e ragazze del mio paese una specie di "bar da Mario": tra una piega e l'altra, sotto il casco o al lavateste, c'è sempre tempo per una chiacchierata e un po' di gossip. Un "rito" sacro tipico delle parrucchiere, certo. Ma, complici l'estro e una buona dose di follia (di quella sana), ne è nato un evento mai visto, che ieri pomeriggio ha attirato grandi e bambini ai piedi di una pedana.
Protagonisti 8 ragazze e 5 ragazzi. Tutti clienti del salone, ovviamente. Che per una giornata si sono trasformati in modelli/e.
Niente di professionale o impegnativo, solo un piccolo vezzo da togliersi, acconciando i capelli in modo diverso, indossando abiti comodi e fatti a mano, con trucco e accessori pensati per valorizzare la parte speciale di ciascuno.
Io? No, non ho sfilato. Piuttosto sono rimasta nel backstage per scrivere i testi di presentazione dei modelli, e per veder prendere forma qualcosa di speciale, che dalle mie parti non si era mai visto.
Una sfilata senza regole, perché la bellezza non deve avere canoni.
Senza regole, perché ognuno può essere ciò che vuole quando vuole.
Uscendo dalle convenzioni, se ne ha bisogno, cambiando, rinnovandosi, ma sempre con la consapevolezza di averlo fatto per esaudire un proprio desiderio.
Posto qualche immagine con il commento che è stato letto ieri.
Cinzia e le sue colleghe sono molto modeste e non l'hanno chiesto, ma credo che un commento da parte vostra potrà aiutarle a verificare il successo dell'iniziativa, i possibili errori, la ripetibilità. 
E ovviamente, se la prossima volta vorrete esserci (in passerella o tra il pubblico), sarete i benvenuti.
Che inizi lo spettacolo...

Ore 15.30
La passerella allestita davanti al salone.
Il dj fa girare i piatti in attesa dell'entrata dei modelli.

Diana, la presentatrice.
Anche lei cliente del salone e grande amica. Ieri era il suo compleanno.

La prima a sfilare è ALESSANDRA.
"Lo stupore che c'è dietro a un capriccio. Un'irresistibile voglia di assecondare ogni richiesta, anche quella più assurda e bizzarra. Perché è bello seguirla nei suoi labirinti di pensieri, fra quei riccioli folti e ricci"



Poi tocca a LELIA.
"Donne. Esseri spesso incomprensibili. Scatole che racchiudono segreti impenetrabili, e contrasti irrisolvibili.

Lei li esprime così, con i frisèe cotonati a fare da contorno.
Con creatività si libera dalle sue paure e per migliorarsi parte da lì, dalla parte più volatile di sè, quei capelli che diventano il pretesto per svelare al mondo, e a se stessa, i suoi desideri più profondi"




La terza è SILVIA.
"A incorniciarle il viso è una cascata di onde che sprigionano energia giù verso le spalle.

Fluidità e bellezza impalpabile, giocata tra le tonalità scure, color della notte, e quelle ciocche bianche che, come code di stelle cadenti, illuminano il cielo senza luna.
Esotica, misteriosa, non lascia trasparire nulla, se non quel suo fascino da sirena"


Arriva DIANA.
"Lei è autentica, come la si vede. Un look sbarazzino e moderno: per essere naturalmente bella non ha bisogno di altro.

È l'immagine pulita di una donna che non ostenta vanità, perché al lavoro o facendo shopping sceglie uno stile semplice ma grintoso.
E questa grinta la si coglie nello sguardo, e in quel lampo di malizia che riesce a trasformarla in una grande seduttrice"


La bionda CHIARA.
"Comoda e semplice, preferisce uno styling leggero ma decisamente personale, sempre in ordine, per una donna come lei che vuole essere pronta per qualsiasi occasione.

Dorata, appassionata: dal sole ha preso quella luce che le dà la carica per affrontare le sfide di ogni giorno. Perché di una cosa è convinta: piuttosto che restare con i piedi per terra, è 
meglio puntare in alto, verso il cielo, sollevate da un sano ottimismo"




Bellissima MANUELA.
"Un taglio cortissimo, che la fa apparire misteriosa e intrigante. È quella femminilità al maschile, così black e minimal, ma allo stesso chic e versatile, grazie al tocco di rosso che, come scintilla improvvisa, ci rivela movenze e pensieri di questa donna del nuovo millennio.

Lei ama le soluzioni confortevoli, da adattare, per una riunione in ufficio o un una serata speciale, solo con qualche accessorio. Perché la bellezza è tutta lì, fra quelle ciocche sagomate, scrigno di una seduzione unica"

EVELYN, la più giovane del gruppo.
"Giovane, fresca, esprime un fascino timidamente ribelle.

Bambina quando serve, donna quando vuole, ha la malizia di chi è alla ricerca di sè, o di chi forse ha già scoperto tutto.
Una bellezza prêt-à-porter, che si propone con grinta, ma che cela una voglia di trasgressione che la rende irresistibile"


Poi spazio ai ragazzi.



ALBERTO balla in passerella!
"Capelli lasciati liberi di giocare con il vento. Un effetto spettinato per chi alla precisione del taglio sui lati vuole unire un tocco inatteso, come una scarica di elettricità.

L'uomo maturo riscopre la naturalezza di uno stile up-to-date, effetto di dita disinvolte che accarezzano le ciocche indisciplinate.
In viaggio, sulla strada, all'aria aperta: cittadino del mondo, sa che l'importante è non fermarsi mai, conquistare orizzonti sempre nuovi, senza guardarsi indietro"




Capello lungo e occhiali scuri: è il momento di LUCA.
"Dalle passerelle alle strade di città il capello lungo conquista, perché sinonimo di libertà. Curato ma sbarazzino, disciplinato e senza regole, versatile e un po' mondano, come in uno scatto rubato alla macchina fotografica.

Segretamente divo, è l'immagine del ragazzo moderno, romantico e ribelle quando serve, sexy in modo creativo e originale"



EDOARDO e i suoi ricci.
"Amato dalle ragazze, invidiato dai ragazzi, colpisce al primo sguardo con le sue chiome voluminose.

Non ha bisogno di aggiunte o tocchi artificiosi: è bello perché naturale, con quello stile "british" che ne fa un esempio di eleganza.
Tutta la sua personalità è racchiusa nella composizione fittissima di ricci che gli contornano il viso, quasi nascondendoglielo, e allo stesso tempo risaltandone i lineamenti"







Per finire ANDREA, biondo e scatenatissimo.
"Un po' dandy, un po' Teddy Boy, ha la spavalderia del maschio che non deve chiedere mai.

Classico ma per questo non meno trendy, sceglie un taglio medio-corto che si rialza sopra la fronte rievocando il ciuffo leggendario di Elvis Presley o le creste delle onde californiane.
Un'immagine giovane, che si rinnova con estro, e che, arricchendosi delle suggestioni degli anni Cinquanta, dona al ragazzo d'oggi un aspetto casual ma curato, per non lasciare nulla al caso. Perché anche se la moda passa, lo stile resta"


Poi tornano le ragazze per un secondo giro in passerella.
Nuovi look, nuove bellezze, tante sorprese.

ALESSANDRA

"Libera, indipendente e trasgressiva. Imperiale nella sua semplicità, meravigliosa nella grazia che emana l'armonia della perfezione raggiunta, dell'accordo e dello scambio fra linee lisce ne frisée, fra libertà e stile.
Non ha bisogno di niente e di nessuno. Tutto quello che le occorre ce l'ha addosso"
LELIA e il lilla.
"Fata intrigante, abita quella terra di mezzo tra sogno e realtà in cui nessun altro può entrare.
Ordinata sì, ma senza troppi vincoli, perché la sua magia sta proprio nella sua imprevedibilità, in quell'aspetto delicato ma non per questo meno aggressivo"
In scena SILVIA con una coda laterale.
"Per sentirsi donna ha solo bisogno di una regola che la renda conturbante e principesca, impeccabile e accattivante. Può essere ciò che vuole, quando vuole, a metà tra l'elegante e lo scatenato. Il suo è uno stile che non ammette repliche"



DIANA e le sue onde anni Cinquanta (bellissime le unghie!).
"Un salto nel passato, immerse tra le onde eleganti e soffici delle dive anni Cinquanta. Ha la sensualità di una pin-up, ammalia con la grazia di Grace Kelly.
Una donna piena di talenti e di iniziativa, che ricerca l'emancipazione e la piena realizzazione di sè, e che non ha bisogno di un palcoscenico per fare mostra della sua bellezza.
Una donna che vuole sentirsi speciale e riscoprirsi straordinaria ogni giorno"
Vaporosa e leggera: CHIARA.
"Sensuale e un po' bambina ma già donna, capace di usare la testa e di farla perdere agli altri.
Morbidezze, che seguono le pieghe del desiderio stemperato da nuance calde che restituiscono il colore di un tramonto.
Il suo lato creativo si manifesta all'improvviso, in uno sguardo che sembra ghiaccio puro, ma che nasconde temperature laviche di fuoco"
Ancora il corto di MANUELA.
"Ancora corti, cortissimi, ma questa volta arricchiti da un movimento che conferisce loro volume.
Nuove forme, ricche e mai piatte, che spiccano, seguendo linee diverse, percorse da una scarica di adrenalina.
Solo lei può guardare all'orizzonte di questa tempesta senza temere giudizi, passando dal riccio al liscio quando ne ha voglia, assecondando ogni moto del suo cuore"
EVELYN, chi guardi?
"Vaporosa, come zucchero filato, leggera, come una nuvola.
Nella sua testa non c'è spazio per i pensieri negativi, che volano via, lasciando il posto a desideri che profumano di spensieratezza.
Tempo di feste, di divertimento. Il segreto è sorprendere, e lei ci riesce, perché, sola o accompagnata, non si può non notarla"





Ecco chi...


ALBERTO la corteggia.
"L'abbiamo visto ribelle e spettinato, adesso è un look definito e sofisticato che ce lo mostra nella sua anima più intima di seduttore.
Si fa notare, e senza tante parole. Glamour ma essenziale, è perfetto sia per un aperitivo con gli amici che per una serata in discoteca, perché l'uomo di tendenza sa che le occasioni 
giuste si possono presentare in qualsiasi momento"

Ma lei ha le idee chiare...


Ci prova LUCA...
"Le regole sono fatte per essere infrante. E vale anche per i capelli, che distribuendosi in tutte le direzioni acquistano un volume leggero simbolo di istintività.
Spettinato, come appena sveglio, ha quell'x-factor che fa innamorare.
Ha fascino, e ci gioca, perché la vita va vissuta intensamente, sulla propria pelle"

Ma alla fine a conquistarla è ANDREA.
"Spettinati per dare un'impressione di naturalezza: i capelli diventano la porta attraverso cui esprimere un'energia nascosta.
Essere sofisticati non è una scelta, ma parte di una personalità decisa e virile, che non si mette in mostra ma si concede a poco a poco.
Lui è magnetico; bello e impossibile, lo si conquista con armi di seduzione sottile, lui che vuole distinguersi, lui che non è uno dei tanti"


E come chiudere se non con un momento tra i più speciali?


FRANCESCA e IVAN, novelli sposi (bellissimi!)
"Niente smocking, niente bouquet: eccoli bellissimi, trasgressivi, capaci di rendere il giorno delle nozze indimenticabile anche per chi li guarda.
La sposa abbandona le acconciature raccolte o semi raccolte più tradizionali per dare sfogo all'energia che anima i suoi capelli. Così sono voluminosi, leonini, appariscenti, per assaporare quel gusto di imprudenza e follia che l'amore racchiude.
Lo sposo omaggia invece la cultura reggae degli anni '70, e con un'acconciatura raccolta di dread alla Bob Marley, sceglie di mostrarsi nel suo ruolo più autentico di uomo e seduttore.
Capelli da vivere, per una coppia che non segue le convenzioni. Lei è pronta a seguirlo nei suoi sogni di libertà, lui a rapirla con un bacio"

Di nuovo complimenti a Cinzia e Angela per le acconciature, a Simonetta per le unghie, a Marianna per il trucco.
Brave ragazze!





"Bisogna voler bene a se stessi prima che agli altri.
Credo sia l'unica, vera formula per vivere davvero.
Tutto il resto, poi, viene di conseguenza.
Per noi, donne e uomini d'ogni età, il fatto di apprezzarci deriva anche dal nostro aspetto esteriore, da come appariamo.
Siamo noi i giudici più severi di noi stessi.
Noi, che davanti allo specchio notiamo ogni minima imperfezione, e spesso non ci piacciamo.
E invece non dobbiamo desiderare di essere niente di diverso.
Possiamo migliorarci, e lo possiamo fare sempre: sono sufficienti piccoli accorgimenti, piccoli trucchi che ci aiutano a rendere la pelle più luminosa, i capelli più ordinati o, per noi donne, il make up più prezioso.
Così ci sentiremo belli, belli nella nostra semplicità e nella nostra unicità, belli perché siamo noi e ci vogliamo bene per questo.
Una volte qualcuno ha detto che ognuno di noi è un gioiello.
Lasciamo, allora, che la bellezza che abbiamo dentro brilli di luce nuova, senza ostacoli e senza paure.
E a quel punto ci verrà naturale sorridere"

V.




Giovedì 5 maggio 2011

Il colore dell’innocenza

"Invano dunque ho conservato puro il mio cuore e ho lavato nell'innocenza le mie mani, poiché sono colpito tutto il giorno e la mia pena si rinnova ogni mattina".
(Bibbia, Salmi, 73, 13 – 14)

Sono in auto verso Belluno.
Questa non è una serata qualunque. Questo non è uno spettacolo qualunque.
L’ho capito appena S., una mia amica, mi mandò quell’e-mail in cui mi invitava ad andare insieme a lei a vedere uno spettacolo teatrale: “Silenzio”.
Locandina di Silenzio

Non la solita commedia umoristica alla Goldoni, non la solita tragedia shakespeariana.
Uno spettacolo unico, particolare dal tema difficile e delicato: la pedofilia.
Accetto immediatamente.
Certo la tematica non era delle più leggere, ma la mia curiosità era un’altra: come verrà messo in scena? Con quale scenografia? E gli attori che parte faranno?
Sono in auto. Guardo attraverso i finestrini e provo ad immaginare. Come avrei trasposto io una tematica così delicata in uno spettacolo teatrale? Faccio mille ipotesi.
Siamo arrivate. Prendiamo il biglietto.
Ci sediamo.
Quando lo spettacolo inizia, la mia attenzione è alle stelle.
Ci sono solo due attrici: Patricia Zanco e Linda Bobbo.
La scenografia è scarna: tende bianche e sfondo nero.
Ma ciò che attira l’attenzione è la semplicità e la schiettezza con cui vengono messi in scena i dialoghi tra le due attrici.

Schiettezza mischiata a sottile ironia.
Un pugno allo stomaco.
L’omertà della gente che si nasconde dietro a mille ipocrisie. Pur di non vedere. Pur di non parlare.



Il colore dell’innocenza è il rosso: “il colore dell’innocenza è il sangue”.
Una ferita nel petto.
Lo spettacolo conclude.
Sono commossa ma al tempo stesso contenta.
Sono in auto.
Intorno a me Silenzio. Dentro di me Silenzio.
A.

 



Spettacolo vincitore del II PremioOff – Teatro Stabile del Veneto
Drammaturgia di Patricia Zanco, Daniela Mattiuzzi, Alberto Graziani
con Patricia Zanco, Linda Bobbo
regia di Zanco/Mattiuzzi
musiche di memmusic


"Lo spettacolo nasce perché in un paese del bellunese, un bravo maestro è stato accusato di abusi sessuali nei confronti di 50 bambine. Lo faceva a scuola, a casa sua o a casa delle alunne, chiamato dai genitori perché persona fidata e competente. Trent'anni anni di abusi e nessuno s’è mai accorto di nulla. Un silenzio omertoso. Lunghe ricerche fatte di interviste, incontri, studi, ci portano a dire che le storie di abuso sono tutte uguali nella loro particolarità, poiché dopo l’abuso c’è il silenzio, e solo dopo anni e già donne, le bambine di allora trovano il coraggio di parlare. 
SILENZIO si propone di abbattere attraverso la lingua del teatro quella cortina, spesso impenetrabile, fatta di insensibilità, omertà, coperture potenti e sensi di colpa. Lo spettacolo cerca di individuare i nodi più complessi delle relazioni che generano ferite incancellabili sui minori. Si raccontano dinamiche familiari di abbandono e miseria morale. La famiglia è il primo e più insidioso contesto nel quale avvengono gli abusi, come pure la scuola ha un ruolo centrale nello svolgimento dell'opera, e ancora si denunciano le colpe soggettive, di sistema e del clero.I molestatori insidiano senza tregua e spesso, come nel caso della chiesa ma non solo, si creano forti autoprotezioni istituzionali. Infine viene analizzato, con grande ironia, il linguaggio televisivo, tramite il quale si parla talvolta con troppa superficialità di temi morali".
(www.patriciazanco.it)

Alcune recensioni.
Silenzio proprio perché parte dal racconto delle vittime, non è mai clemente, non si addolcisce neanche quando subentra lironia, semmai proprio allora affonda in modo incalzante in quello che è lo schifo della pedofilia e ce lo fa vivere. E un testo spietato, senza fronzoli né mezzi termini, che tratta della pedofilia a tutto campo, e da tutti i punti di vista, dove lo schifo e lorrore non sono romanzati, ma vengono buttati in faccia allo spettatore senza mediazione, affinché lo spettatore senta la gravità del fenomeno”.
“Nella rappresentazione di Silenzio, ci sono pochi attori, ci sono i bambini che vestiti di bianco intessono i fili dei loro giochi fino a che lombra nera minacciosa li fotografa e presagisce sangue. C'è la grande attrice e regista Patricia Zanco che magistralmente interpreta vari personaggi maschili e femminili, entrando e uscendo continuamente dal mondo e dalle parole degli adulti al mondo e alle parole dei bambini, e la bravissima Linda Bobbo che interpreta abilmente la sofferenza femminile. In scena ci sono pochi colori, lambiente scenico cupo e la presenza di pochi attori (attrici) ne connota il messaggio di solitudine e amplifica levocazione del titolo: Silenzio”.
(Recensione a cura di Andreana Olivieri, responsabile Servizio Affidi e Appartamenti per l'autonomia del CBM)

“Il tempo è senza tempo, è un continuo presente. Un giardino, dei bambini giocano, raccontano il lento sgranarsi e lacerarsi del mondo, dipanando una matassa. Un angelo suona il violino. Il giardino si carica progressivamente di tensioni, di minacce, e di una deprimente verità nel
momento in cui si insinua nel gioco l’ombra nera: l’impensato, l’intruso, il predatore.
Raccontiamo di Anna e di Angela, storie diverse tra loro ma che, come tutte le storie di abuso sessuale sui minori, hanno un denominatore comune : il silenzio. Parlare, aprire un varco, mettersi in gioco e lanciare una sfida, con leggerezza, ironia, svelare i gesti, la volgarità, i vizi e la comicità macabra del mondo.. SILENZIO è un’onda anomala che ci porta sia nelle profondità sia sulla superficie dell’animo umano. Un continuo entrare e uscire da due mondi (adulti e infanzia) che faticosamente cercano di coesistere, di respirare. Un’azione poetica, una forza eversiva nei confronti di una norma sociale, di un mondo che vaga inesorabilmente verso la deriva. Un mondo
guardato dagli occhi dei bambini che invitano a risvegliarci dal torpore della quotidianità puntando lo sguardo sulla sclerosi dei linguaggi su una schematica felicità collettiva, sull’abitudine che ci rende ciechi. Questa forza eversiva ce l’hanno i bambini, se qualcuno li guarda e li ascolta.
In un repertorio di storie il lavoro a volte salta in modo analogico, non segue una linearità, compaiono allora più voci narranti, trasfigurazioni di personaggi, di ambienti. Una selva di personaggi, carnefici e vittime convivono in un ready made della macabra giostra della realtà che gira, gira vorticosamente rubando futuro e sogno ai piccoli per lasciare posto a risate inconsapevoli. Con SILENZIO cerchiamo di guardare oltre l'apparenza delle cose, oltre la logica comune dei luoghi”. (www.patriciazanco.it)





Giovedì 31 marzo 2011

Moving in the world

Quando il mondo mi sta stretto...

Oggi è stata una di quelle giornate.
Una di quelle in cui mi sono andata stretta.
Non è stata brutta come giornata, ma sai sono i dettagli.
Il sole che splende fuori e tu che te lo puoi godere solo nelle pause tra un lavoro e l'altro,
i capelli freschi di taglio che non ti stanno,
il maglione messo alla rovescia (che porta sfortunissima),
gli screzi casalinghi,
e quell'orizzonte di montagne che di solito ami tanto guardare ma che oggi ti sembrano montagne qualunque, e pure fastidiose, perché non ti lasciano andare al di là.
Allora dopo cena ho preso la macchina e ho viaggiato per il mondo.
Metaforicamente, s'intende.
Aveva organizzato un incontro, l'Informagiovani del Comune di Bassano del Grappa.
Mi era arrivata una newsletter d'avviso una settimana fa. Titolo: "Moving in the world. 9 incontri per girare il mondo".
Da febbraio a novembre 2011 nove serate dedicate a chi desidera vivere un'esperienza all'estero. Presente come relatore Bernd Faas, consulente della società Eurocultura di Vicenza, esperto di mobilità internazionale e dotato di un accento marcatamente tedesco, che ti impedisce di distrarti.
Stasera era la terza "puntata": "Volontariato nel mondo".
Lo ammetto, a posteriori posso dire che avevo un'idea molto stereotipata del volontariato.
Avevo sempre pensato a Paesi in via di sviluppo, bimbi denutriti, guerre. Un po' le immagini che ci vengono comunemente passate alla televisione.
www.lavorarenelmondo.it
E invece ho scoperto che esistono i campi di lavoro, i campi di ricerca universitari, i siti archeologici, le fattorie biologiche.
Ho scoperto che da volontari si possono seguire le attività del doposcuola e di riforestazione, essere impiegati negli sportelli Informagiovani di altre città, o alla reception degli ostelli della gioventù in cambio di vitto e alloggio.
Ho scoperto che oltre alle destinazioni "classiche", come gli Stati africani o il Brasile, sono molto quotati anche la Provenza, il Kosovo, il Kathmandu, Israele, il Messico, Londra (anche se più costosa).
I siti e le fonti da consultare compongono una lista lunghissima, ma entrare in contatto con questo mondo è abbastanza semplice, al di là delle esperienze che richiedono specifiche qualifiche professionali (come le candidature alle organizzazioni internazionali, si pensi all'Onu).
Un mondo, sì, perché è partecipando a incontri come questo che ti rendi di quanta attività animi il pianeta ogni giorno. Ragazzi e adulti di ogni nazionalità, formiche instancabili, che imparano lingue nuove, sperimentano nuove mansioni, nuovi ruoli, danno forma concreta allo studio, realizzano un sogno. Proprio o degli altri.
www.sci-italia.it
Partecipi a un incontro come questo e la tua visione finalmente si apre. Conquista spazio e salta gli steccati che ti eri alzato intorno.
"A me piace l'Italia", "Mi sento arrivato", "Finalmente ho finito con lo studio e la 'struma' dell'imparare", "Campo di lavoro? Ma in agosto voglio andare al mare!"
Sì, ti dici, ha ragione chi la pensa così.
Ma fino a quando non supera le montagne.
Fino a quando l'azienda nella quale farà un colloquio, alla lettura sul curriculum vitae della voce "Predisposto al lavoro di squadra", non chiederà: "E quali esperienze l'hanno portata a dedurre per se stesso questa qualità?".
Ha esordito proprio così il relatore di questa sera: "I curriculum vitae che ci vengono presentati sono sempre di più scritti secondo un modello standard. Ma per distinguersi, per essere 'forti' contrattualmente, bisogna portare con sè un bagaglio, di esperienze, di vissuto, di azioni".
www.reliefweb.int
A differenza del passato, se intrapreso dopo la scuola o durante un "gap year" (o "anno di pausa") il volontariato di 12 mesi vale come primo anno di esperienze lavorativa. E non solo "fa curriculum", ma prevede anche i contributi pensionistici. 
In alcuni casi, oltre a vitto e alloggio, si ha anche a disposizione una "pocket money", una retribuzione settimanale che permette di coprire le spese di soggiorno.
E per gli "adulti"? Per i professionisti con più di 30 anni, che non trovino lavoro nel proprio Paese e che abbiano deciso di dare la propria disponibilità, possono proporsi per i compiti più diversi. Medici, ingegneri, ma anche elettricisti, meccanici (si pensi ai mezzi di soccorso, alle ambulanze che devono essere riparate). In questi casi è richiesto un percorso universitario (prendiamo il medico) e almeno 4 anni di esperienza, oppure una formazione professionale (prendiamo l'elettricista, che non frequenta l'università) e 5 anni di esperienza sul campo.
Anche per i professionisti il volontariato, che quindi non è sempre sinonimo di "lavoro a gratis", può funzionare "a chiamata": una volta data la candidatura, se la propria figura non è richiesta al momento, lo può essere, in caso di emergenza, nei mesi successivi, e quindi le possibilità sono sempre aperte.
Sono uscita dalla sede dell'Informagiovani con una convinzione: ci si accusa sempre a vicenda, tra popoli, Stati, persone, di "non fare mai abbastanza".
Ma "fare" invece si può.
Tante persone stanno già "facendo", formichine laboriose e silenziose di cui i media o le istituzioni non parlano.
E per me è quasi una consolazione, perché, quando arriverà un'altra giornata come quella di oggi, quando avrò la consapevolezza, la spinta giusta, l'energia orientata, saprò che campi dove mettersi in gioco ce ne sono, e parecchi.
Si tratterà certo di studiare, sondare, scartare, valutare. Chissà, poi, se tenterò davvero.
Ma quale più entusiasmante sensazione di quella che ti dice: "puoi fare progetti"?
Puoi "fare qualcosa"?
Puoi vedere il mondo?
Idealista?
Forse, ma sono i pensieri attivi, quelli gravidi di iniziativa, che mi fanno stare bene.
Questi, non altri.
Buona notte.

V.

 

Domenica 27 marzo 2011

Dio è uno che gioca, non lo sapevate?
Dov'è Dio, quando soffriamo? Dov'è l'amore, quando lo cerchiamo?
Le risposte di Mariano Maggiotto. Se davanti a quel nome mettessi un "don", perderei molti lettori. Ma credetemi se vi dico che, per certi aspetti, la religione proprio non c'entra

"Colui che non sa niente, non ama niente.
Colui che non fa niente, non capisce niente.
Colui che non capisce niente è spregevole.
Ma colui che capisce, ama, vede, osserva...
la maggiore conoscenza è congiunta indissolubilmente all'amore.
Chiunque creda che tutti i frutti maturino contemporaneamente come le fragole, non sa nulla dell'uva"
(Paracelso, medico e alchimista del XVI sec.)

Quando vieni invitato a un incontro che ha come tema le relazioni interpersonali, la vita di coppia e di famiglia, la speranza che ti spinge a uscire di casa una domenica pomeriggio è quella di tornare con delle risposte.
Perché se c'è una cosa in cui non si è mai abbastanza preparati è proprio la quotidiana avventura che si condivide, passo dopo passo, con genitori, fratelli o sorelle, fidanzati, compagni, mariti, mogli, figli. È una continua relazione.
E quanti errori, quante parole pronunciate per sbaglio, quante porte sbattute, anche quando a guidarci c'è tutta la buona volontà che crediamo di poter mettere in gioco?
Poco male, c'è sempre da imparare. A maggior ragione in uno "scomparto" della nostra vita così delicato.
Don Mariano Maggiotto ha l'aria rassicurante di chi nel suo bagaglio porta racchiuse tante storie. Di chi ne ha ascoltate tante, e da ciascuna ha cercato di trarne un insegnamento.
E non faccio fatica a crederlo, considerato il suo affollato "curriculum": parroco, professore di storia e filosofia, presidente della Fondazione Omc Collegio Pio X di Treviso, confessore, consigliere.
Comincia a parlare, in quest'aula, luminosa e che profuma di nuovo, qui nella sede della Fineco Innovazione, società di formazione di Pove del Grappa.
E noi siamo qui per imparare, anche se la materia del giorno non è la comunicazione aziendale o la gestione del territorio.

"... di notte su di un ponte guardavo l'acqua scura, con la dannata voglia di fare un tuffo giù... d'un tratto, qualcuno alle mie spalle, forse un angelo vestito da passante, mi portò via dicendomi, così..." (Meraviglioso, Domenico Modugno)

"Non basta sposarsi per essere coppia, non basta la solitudine per essere liberi". L'incontro si intitola così. A organizzarlo è stato un gruppo di amiche attivissime di cui fa parte la mamma della ragazza di mio fratello (abbastanza complicato, sì).
Il tema abbraccia tutti i presenti in sala: coniugi, giovani coppie, giovani single, credenti, non credenti.
Mi guardo intorno, e mi chiedo se, rispetto a queste due ultime categorie, io sia l'unica a non sapere ancora bene dove collocarmi. Mi chiedo se io questi insegnamenti me li merito, se questo incontro è fatto per me. In fondo, don Mariano è un prete. Riuscirà a parlare alla mia testa sintonizzata sul dubbio?
«Non basta avere una relazione per essere in relazione - esordisce - e non basta essere soli per essere liberi». Penso a quanti salotti televisivi, quante interpretazioni di "esperti", quanti dibattiti siano nati con la pretesa di spiegare un concetto che mette assieme la relazione con gli altri, la comunicazione, il rapporto con se stessi, e sul quale così tante teorie sono state spese.
Parole, parole, parole, direbbe Mina, ma mi domando: cosa succede, realmente, quando entriamo in contatto con un altro essere umano?
Don Mariano sembra leggermi nel pensiero: «Essere in relazione spesso ci lascia da soli. Succede che qualcosa si mette in mezzo, come un muro, e "intralcia" il nostro essere capiti. E l'ironia vuole che uno dei nostri desideri più profondi, più intimi, che ci accompagna sempre, sia proprio che la nostra vita venga capita, accolta, e invece sentiamo che gli altri la rifiutano».
Non ama i preamboli don Mariano, e il problema, il punto di rottura all'origine di così tante incomprensioni e litigi casalinghi, viene subito alla luce. Un corto circuito, un black out tra sentimenti personali e percezione esterna che causa sofferenza, capace di instillare la crisi anche nei rapporti più consolidati.
«Prendete la parabola del buon samaritano - continua - Il sacerdote, il levita, vedono l'uomo che, dopo essere stato assalito dai briganti, giace sul ciglio della strada "mezzo morto". Lo vedono, ma passano oltre. Anche il samaritano lo vede, ma gli si fa vicino, gli fascia le ferite versandovi olio e vino, e poi, caricatolo sul proprio giumento, lo porta in una locanda e si prende cura di lui. Qual è la differenza con gli altri due personaggi? Sta in un verbo fondamentale: "il samaritano, passandogli accanto, lo vide e ne ebbe compassione».
È forse un caso che don Mariano abbia richiamato una delle mie parabole preferite? Così piena di dolore, così piena di tenerezza umana. L'esegesi di ogni relazione umana.
«Stare dentro una relazione significa avere compassione, che non è un semplice sentimento, perché quando ti porta a sentire come tua la sofferenza dell'altro, a caricarti questo peso sulle tue spalle, come se a soffrire fossi tu, allora si trasforma in consolazione».
Consolazione. Consol-azione. La compassione, se profonda, si traduce in atteggiamento, in gesti concreti. Soffrire per gli altri, a parole, non porta frutto. Tendere le mani, offrire se stessi in azione, invece sì.
Anche se professore di scuola da tanti anni, anche se filosofo ed estimatore di Aristotele, che ama chiamare "maestro", don Mariano è una persona pratica. Deve averla vista la sofferenza, negli occhi di tanti adulti stanchi, di tanti ragazzi disillusi. Sa quale potere racchiude. Sa la forza che ha di mettere a terra, debilitare, anche quando a picchiare non c'è un manipolo di briganti ma un lavoro che va male, una malattia, la disperazione di una vita che sembra non voler ingranare, una mamma ottantenne che, colpita da un ictus, rimane paralizzata e dispensa pochi sorrisi ma così preziosi.
«La vita di mia mamma è anche questa. Anche questa è vita. Quindi, quando qualcuno è a terra, bisogna farsi vicino e abbassarsi. Essere dei buoni samaritani non implica eroismi, ma piuttosto la compassione di dire a chi soffre: 'Io apprezzo la tua vita in tutti i suoi modi'. Bisogna che chi sta male senta che io mi avvicino, che io gli sono vicino. Dare consolazione non è mai tempo perso, ma dà vita a un tempo nuovo, rinnovato, a un sentimento che si rinnova».
Chiaro. Quasi banale, nella sua bellezza. E penso a tutte le volte che non mi sono "abbassata", che da levita sono passata oltre, che da sacerdote ho giudicato. Non con la cattiveria di chi non vuole aiutare, ma con la convinzione che il mio aiuto non sarebbe servito, che le cose non sarebbero cambiate.
Curioso, vero, cosa riesca a smuoverti un racconto che ha sopra di sè la polvere di duemila anni, ma che pulsa ancora tra le pagine come un cuore sotto la pelle.

"Se ti guardo dentro 'gli occhi, se ti guardo bene, bene, li vedo tutti, i pensieri che hai, non sono brutti, poi sono i tuoi. Se ti guardo dentro 'gli occhi, io m'innamorerei" (Occhi blu, Vasco Rossi)



«Cosa abbiamo detto che fanno il sacerdote, il levita e il samaritano? - continua don Mariano - Vedono l'uomo che giace morente. Vedere, la vista. Prendiamo la filosofia: come tutte le cose nasce dagli occhi. Quando vedi qualcosa, ti meravigli, nasce una domanda e la filosofia cerca la risposta a questa domanda.
L'amore segue lo stesso, identico procedimento: un vedere intelligente può mettere in moto l'azione giusta. "Ubi oculus, ibi amor", dicevano i latini, ma pensate al proverbio: "Lontano dagli occhi, lontano dal cuore". La relazione la si deve nutrire con gli occhi».
Racconta un altro esempio, don Mariano, per spiegare il legame che esiste tra l'amore e quelli che comunemente vengono definiti "lo specchio dell'anima": «Un fedele, un rappresentante, mi ha avvicinato un giorno per confidarmi un episodio. Non voleva confessarsi, ma solo condividere qualcosa che ad altri, ha detto, avrebbe fatto ridere. Poco tempo prima il figlio si era rotto un femore in un incidente stradale. Una sera, mentre si trovava accanto al suo letto d'ospedale, questo parrocchiano si era ritrovato a guardarlo per la prima volta. Una fossetta sul viso di cui non si era mai accorto, il taglio delle sopracciglia così simile al suo, la forma degli occhi. "Mi sono reso conto per la prima volta di quanto fosse bello" mi ha detto. E gli credo. Gli credo, perché quando ci si ama, ci si mangia con gli occhi».
E quando, come un timone, rivolgiamo gli occhi verso noi stessi? «Usare gli occhi significa guardarsi ogni giorno allo specchio e scegliere di essere esattamente la persona che vogliamo essere. È una promessa, a cui dobbiamo tenere fede ogni giorno, anche con le persone che ci sono vicine. Non serve guardare lontano, o perdersi con lo sguardo nella luce azzurrognola del televisore.
Amare consiste nell'arte di farsi prossimi agli altri, donandosi nella persona che vogliamo essere, e trasformando la nostra compassione in consolazione e quindi in azione».

"La solitudine non è mica una follia, è indispensabile per star bene in compagnia" (La solitudine, Giorgio Gaber)

"E i single?" mi domando "Come devono vivere la loro condizione di 'solitudine' quelle persone che non hanno ancora al loro fianco 'l'altra metà del cielo'?". Don Mariano mi viene in aiuto anche questa volta.
«Non avere relazioni spesso viene associato a una condizione di assoluta libertà. Ma il rischio è quello finire di schiavi dentro una vita che si odia, in cui manca sempre "qualcosa".
Essere liberi non significa non avere vincoli, perché può non accadere subito, ma finiremo per sentirci soli. Invece abbiamo bisogno di sentirci amati. Tutti, anche chi non lo dice, anche chi lo nega. Ci sentiamo veramente liberi solo quando ci sentiamo amati.
La vita acquista valore in ogni cosa che facciamo, altrimenti vedremo sempre un giudizio negativo, anche quando non c'è, altrimenti andremo sempre alla ricerca di cosa gli altri vogliono da noi.
Aristotele (si scusa don Mariano, lo chiama ancora in causa) si propose di scrivere un libro per il figlio Nicomaco, un libro contenente i princìpi per essere felice. La prima di queste "regole"? "Guarda" gli disse. Osserva, indaga, conosci.
E poi: "Ci sono uomini che credono che la felicità consista nella ricerca dell'onore. Poveri stolti". Ricerca dell'onore, quindi, come diremmo noi "moderni", dell'applauso, dell'approvazione.
Ma quando la mattina vi vestite, lo fate per voi o pensando a quello che penseranno gli altri? Quando parlate, lo fate convinti di quello che dite o pensando a quello che penseranno altri? È così facile cadere nell'errore di mettere la propria felicità nelle mani degli altri. Ma gli altri non possono decidere la mia felicità. Sono io, nel mio cuore, che devo decidere di essere felice. Anche perché, cosa c'è di più fragile, di più mutevole del consenso degli altri?
Quindi il segreto è vivere la solitudine ascoltando se stessi, non gli altri. Ascoltiamoli gli altri, ma con misura, perché "servirsi" degli altri per capire ciò di cui abbiamo bisogno crea solo confusione e disagio. Lo sanno bene i miei studenti dell'ultimo anno, alla ricerca continua di una risposta ai dubbi sull'università. Incontrano gli ex allievi, i docenti dei migliori atenei, ma poi, nella maggior parte dei casi, alla domanda: "Allora?", la risposta è "Boh".
Se non ascoltiamo noi stessi ma gli altri, perdiamo noi stessi».

"Nei miei sogni senza sonno ho camminato solo... ho visto persone parlare senza dire niente, ascoltare senza sentire, scrivere canzoni che nessuno condivide. Ho toccato il suono del silenzio" (The sound of silence, Simon & Garfunkel)

A questo punto la domanda lampeggia sul viso dei presenti con un bel punto di domanda, come una casella luminosa sul tabellone di un quiz televisivo: e come si fa ad ascoltare se stessi?
«Si devono creare delle condizioni favorevoli. Prima fra tutte? Il silenzio». Mentre don Mariano parla del silenzio, mi vengono in mente tutte le volte in cui accendo la radio in macchina per non lasciare spazio ai pensieri, o a quelle in cui il papà, durante il pranzo, si eclissa con telegiornali e annunci meteo senza parlare fino al momento del caffè. Capisco cosa vuole dire.
«L'intimo si rivela sottovoce. È una cosa così naturale, eppure ce lo dimentichiamo spesso. Spesso non abbiamo voglia di ascoltarci, e accendiamo la radio o il televisore per non farci troppe domande.
Ma ascoltarsi significa crearsi dei momenti propri, momenti in cui troviamo la sincerità di chiederci: "Ma io davvero cosa provo?"».

"... e chiudere gli occhi per fermare qualcosa che è dentro me, ma nella mente tua non c'è. Capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi emozioni" (Emozioni, Lucio Battisti)



Mi accorgo presto che, pur nella sua naturalezza, don Mariano dà un peso ben misurato alle parole. «Cosa provo, non cosa penso, né cosa dico. La verità non è nascosta nei nostri pensieri, nelle nostre parole, ma in quello che proviamo. Nei nostri sentimenti.
Quando gli altri si arrabbiano con noi, quando "si sfogano", ascoltiamoli, perché è in quei momenti dicono la verità».
Ed è vero, mi dico. È vero. In quali momenti ho avuto il coraggio di essere sincera? In quali ho dato veramente voce ai miei pensieri, anzi ai miei sentimenti? Quando ero "incazz... come una bestia", direbbe quel comico di Zelig, quando non c'era nessuna paura, nessun senso di colpa a fare da setaccio.

"Memory - all alone in the moonlight. I can smile at the old days, I was beautiful then. I remember the time I knew what happiness was. Let the memory live again" (Memory, dal musical Cats)

«Dicevamo che la solitudine è libera se viene amata. Come capire se io sono amato dalla vita? Devo usare la memoria.
È strano, ma ricordiamo di più ciò che ci ha ferito e dimentichiamo ciò che ha cercato di risanarci.
Nella solitudine invece posso fermarmi, e rivedere gli atti d'amore che la vita mi ha regalato e con cui mi ha segnato».
Facile? Per niente. Lo si diceva anche alla fine del film The big kahuna: "Ricorda i complimenti che ricevi, scorda gli insulti. Se ci riesci veramente, dimmi come si fa". Eppure quante energie utili buttiamo alimentando cattivi pensieri?
«Domandiamoci: quale bene mi offre ogni giorno la vita? Se continui a cercare le conferme che la vita sia una maledizione, niente paura, le troverai. Ciò che cerchi lo trovi.
Le benedizioni ci sono, se le cerchi. Non lasciarti lusingare dal male.
Per essere liberi,
bisogna amare se stessi.
Per amare se stessi,
bisogna cercare le benedizioni nella propria vita.
Accettarsi per quello che si è, a partire da quello che si è, e non da quello che si vorrebbe essere.
Voler bene alle proprie emozioni, alla propria sessualità. Nel loro complesso.
Innamorarsi di sè per voler bene a qualcuno, per regalargli non ciò che hai o che sai, ma ciò che sei.
"Regalare" la propria persona che però devo avere la forza e la costanza di coltivare, dentro e fuori, nella mia "solitudine", ogni giorno.
In L'arte di amare, Erich Fromm dice che "per imparare l'arte di amare bisogna andare in una bottega e scegliere un maestro. Decidetelo voi il vostro maestro, l'importante è che amiate nella maniera giusta".
Estraggo quel libriccino dalla libreria della mia camera. Ha le pagine ingiallite, e sulla seconda di copertina c'è scritto "18 maggio 1979. Gruppo ACR". Mio papà lo ha ricevuto in regalo per il suo ventisettesimo compleanno. "È l'amore un'arte?" dice la prima frase "Allora richiede sforzo e saggezza".
Don Mariano continua, con una storia: «C'era una donna che amava moltissimo i fiori. Li compra sempre al mercato, e gioisce nel vederli fiorire, si rattrista nel vederli appassire, soffre nel vederli morire. E continua a comprarli, giorno dopo giorno, e ogni giorno gioisce, si rattrista, soffre. Mai una volta, però,che si ricorda di dar loro da bere.
Devi "coltivare" te stesso ogni giorno, oppure le tue relazioni, come nessuna realtà umana, dureranno a lungo.
Fai di te stesso un regalo da dare alla persona o alle persone con vuoi vivere».

"Dio del cielo, se mi vorrai amare, scendi dalle stelle e vienimi a cercare" (Spiritual, Fabrizio De Andrè)

Vista, compassione, amore, amore di Dio. Sì, ma come si fa a "vedere Dio"? Un signore, seduto in una delle ultime file, dà spazio a una domanda che non so se avrei mai avuto il coraggio di pronunciare ad alta voce. Segretamente lo ringrazio.
Dov'è Dio? E come lo vedo? Come posso fare esperienza dell'amore di Dio, se l'amore è negli occhi e Dio non lo vedo?
Sentendomi una moderna San Tommaso, ascolto la risposta di don Mariano, folgorante nella sua semplicità: «Quando le persone si chinano su di te per darti coraggio, lì è Dio.
Dio è amore, ma ama giocare e si nasconde, nelle persone che ti amano.
Pensate a questo dettaglio: nella parabola della moltiplicazione dei pani e dei pesci, non si parla mai di "moltiplicazione", tranne che nel titolo. Si parla invece di "divisione": Gesù divise i pani e i pesci, non li moltiplicò. Ed è un insegnamento quanto mai attuale, se pensiamo a quanto abbiamo oggi, e a quanto finisce nei rifiuti, inutilizzato».
Mi accorgo che anche De Andrè sembra aver capito: dice "Se ci hai regalato il pianto e il riso, noi qui sulla Terra non lo abbiamo diviso".
Ma allora non è Dio che ci deve venire a cercare, siamo noi che dobbiamo andare verso di lui, lo sforzo dev'essere nostro. Noi dobbiamo aprire il cancelletto di partenza e cominciare a correre. È sempre così. Possiamo arrabbiarci, e disprezzarlo quanto vogliamo, ma niente parte se non da noi.
«Sentiamo la presenza di Dio, lo incontriamo nelle persone che ci vengono incontro.
I punti di incontro con Dio sono concreti, ma bisogna cercarli.
Quando li cerchiamo, possiamo anche essere aiutati, ma dobbiamo dare inizio a questa ricerca».

"È un dio che è morto, nei campi di sterminio dio è morto, coi miti della razza dio è morto, con gli odi di partito dio è morto..." (Dio è morto, Francesco Guccini)

Ma mi blocco. Mi areno, mentre don Mariano svela parole di una dolcezza inaudita. "E se io in Dio non ci credessi?"
Anche questa volta un altro partecipante parla al posto mio: «Per essere una coppia bisogna essere sposati? Per essere buone persone bisogna essere credenti?»
Osservo don Mariano, per cogliere una qualche esitazione. Che non c'è.
«Certo che no - risponde senza abbassare lo sguardo - L'unica cosa che bisogna avere è l'onestà. L'onestà con se stessi.
Un vero non credente è pieno di dubbi sulla fede.
Ma un vero credente è pieno di dubbi sulla fede.
C'è una bellissima frase: "La fede è la prova delle cose che non si vedono".
I segni di Dio li vedo dopo che ho creduto.
Certo, si tratta di una richiesta di fiducia immensa, di una prova difficile, difficilissima.
Ma se mi fido, se credo che mi sia vicino, poi scopro che mi è stato davvero vicino. Che c'è stata una forza che mi ha tenuto in piedi.
Dopo un periodo di dolore mi accorgo delle tracce di Dio.
Non è questione di fare del bene, di essere credenti oppure no: si tratta di fare il meglio che si può».
Ho sempre pensato che la religione sia proprio questo: una fonte di fiducia. Perché, anche se Dio non dovesse esistere, la forza che un simile pensiero può darti è immenso.
Nelle persone che credono ho sempre colto questa luce tutta particolare. Credere non preserva dalle malattie, non impedisce ai conflitti di scatenarsi, né a chi non se lo merita di soffrire, ma l'affascinante sta nella "spinta" che la fede dà. Marx la chiamava "l'oppio dei popoli", io penso sia "gioia di vivere". Nonostante tutto.
«Come diceva Vasco Rossi: "Voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l'ha. Tanto domani verrà lo stesso", no? L'importante è farci delle domande che siano all'altezza di quello che vogliamo essere. Dobbiamo, tra tutti i nostri piccoli desideri, scegliere quelli più preziosi, non solo per presentarli a Dio, ma anche per dare alla nostra vita un senso pieno. Dobbiamo tendere a diventare delle grandi persone.
Vivere le cose, anche le più piccole, con un cuore grande».
Credenti o non credenti.
«La mediocrità sta nel non accettare la sfida delle domande. E invece bisogna anche avere il coraggio di dire: "Non so rispondere", il coraggio di vivere comunque quello che non so spiegare con le parole».
«Anche perché è meglio un non credente che continua a cercare, che un credente tiepido» esclama la Richi, grande amica della mamma della ragazza di mio fratello (più complicato ancora).

"... cosa vuoi che sia, passa tutto quanto, solo un po' di tempo e ci riderai su, cosa vuoi che sia, ci sei solo dentro..." (Cosa vuoi che sia, Ligabue)



E quando i giorni si fanno "pesanti"? Quando a renderci stanchi non sono tanto i chilometri che abbiamo percorso e che sono già alle nostre spalle, ma quelli che ci restano da calpestare, così confusi e imprevedibili?
«Le emozioni che proviamo, anche le più "nere" sono potenti, e devono essere controllate. Ma non nel senso di soffocate. Devono essere controllate affinché sia dato spazio a quelle positive, e tolto respiro a quelle negative.
Non devo educare i miei sentimenti in assoluto, ma oggi, nel quotidiano.
Occuparmi della vita, non pre-occuparmi.
Vivere bene adesso.
Il passato non mi appartiene più, il futuro non mi appartiene ancora.
Le preoccupazioni ci distolgono dalle occupazioni.
Diamo ascolto alla vita, agli eventi che ci accadono: possono insegnarci molto.
Mi ripeto sempre una storia, quando i pensieri diventano troppo caotici:


un uomo pieno di preoccupazioni, angosciato e ormai sull'orlo di un esaurimento nervoso, si recò da un sapiente, su consiglio di un amico, per cercare conforto.
Dopo averlo ascoltato snocciolare tutti i "drammi" che lo rendevano infelice, il sapiente gli disse: 'Prendi un cucchiaino, riempilo con la cenere di quel camino, e poi butta la cenere in quel bicchiere d'acqua. Lo vedi? Quell'acqua è diventata sporca, grigia, imbevibile.
Adesso prendi il cucchiaino con la cenere e buttalo in mare: vedi che l'acqua non si trasforma?
Ecco fallo anche con i tuoi problemi: buttali in un orizzonte più largo, e cambieranno. Saranno meno "sporchi", e potrai sopportarli».

Quanta paura fanno gli impegni che si accavallano.
Quanta le aspettative e la sensazione che non si riuscirà mai a fare abbastanza.
Ma se si aprono gli occhi,
se riusciamo a dirci: "Voglio essere la persona che desidero",
se invece di una cronaca d'amore scriviamo una storia, lunga, complessa, o almeno tentiamo di farlo, miglioreremo a partire da quello che siamo, e non da quello che decidiamo di essere.
E, ogni cosa, per fede o per fiducia, verrà da sè.
E, le domande non si esauriranno, ma saluteremo il mattino con spirito diverso.
Ti ringrazio, don Mariano, perché, anche se le domande non le ho esaurite, è stato bello parlare di Dio per un po'. Speriamo che ci abbia sentito.
Alla prossima.

P.S. Mi scuso per la lunghezza del testo. Ma è nato dalla volontà di lasciare un ricordo di quanto detto a chi era presente. Per fortuna, avevo preso appunti. Grazie, se siete arrivati fino alla fine.

P.P.S. L'idea di suddividere le parti titolandole per canzoni me l'ha data don Mariano. Quella di Vasco Rossi e del "senso della vita" è una citazione sua. A me è piaciuto continuare la ricerca.

V.


Domenica 27 febbraio 2011

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