GALEOTTO FU IL LIBRO...

  Il profumo delle foglie di limone

Spagna, Costa Blanca. Il sole è ancora caldo nonostante sia già settembre inoltrato. L'aria è pervasa dal profumo di limoni che arriva fino al mare. È qui che Sandra, trentenne in crisi, ha cercato rifugio: non ha un lavoro, è in rotta con i genitori, è incinta di un uomo che non è sicura di amare. Si sente sola, ed è alla disperata ricerca di una bussola per la sua vita. 
Fino al giorno in cui incontra occhi comprensivi e gentili: si tratta di Frederick e Karin, una coppia di amabili vecchietti. Sono come i nonni che non ha mai avuto. Momento dopo momento, le regalano una tenera amicizia, le presentano persone affascinanti e la accolgono nella grande villa circondata da fiori.
Poco distante da là, Julian, cacciatore scampato all'inferno, i fantasmi del passato lo rincorrono e lo braccano e per questo lui dedica la vita a cacciare, ma cosa? Per quanto lui si danni, la vita, il suo passato presenta sempre il conto.
La vita di queste due persone si intersecheranno e dovranno aiutarsi per scampare a grandi pericoli.
Un romanzo che ha sorpreso e scosso le coscienze, rivelandosi un caso editoriale unico. Uscito in sordina in Spagna, ben presto ha scalato le classifiche vendendo migliaia di copie grazie al passaparola del pubblico.
"Un romanzo straordinario" (El Pais)
"Scuote la coscienza e svela l'orrore che la normalità cela"  (El Mundo)
"Un romanzo sulla vendetta e la cattiveria, ma anche sull'amicizia e sull'amore. Toccherà la vostra anima."  (Que Leer)
"Scorre come un fiume in piena, e si va avanti nella lettura spinti dal sospetto, dalla paura, dalla commozione" (Abc)

Titolo: Il profumo delle foglie di limone
Titolo originale: Lo que esconde tu nombre (Quello che nasconde il tuo nome)
Autore: Clara Sànchez
Anno di pubblicazione: 2010
Edito in Italia da: Garzanti
Pagine: 355
Giudizio: 8
Lo consigli?
A chi? A chi ama i libri "scritti bene", con una trama fantastica e originale. Molto interessante l'intervista all'autrice alla fine.

Marco


Un mistero nella Spagna franchista

Un libro può cambiarti la vita? Può cambiare il tuo destino per sempre? Può farti scoprire misteri, amori perduti, famiglie distrutte, persone dimenticate?
Daniel Sempere è un ragazzo che vive a Barcellona con il padre. È molto appassionato di libri e il giorno del suo undicesimo compleanno il padre lo porta in un misterioso posto: il Cimitero dei Libri Dimenticati.
In questo posto, Daniel troverà un libro sconosciuto ed alquanto affascinante: “L’ombra del vento”.
Da questo momento in poi la sua vita cambierà completamente. La sua vita si intreccerà in modo indissolubile con quella dell’autore del libro.
Daniel, risucchiato nel mondo del libro e del suo autore, scoprirà storie misteriose, tenute nascoste dal tempo. Ma scoprirà anche delle verità sconcertanti su famiglie importanti di una Barcellona decadente.

Solo allora – le dissi – avevo compreso che si trattava di una storia di solitudini e che proprio per questo vi avevo cercato rifugio, fino a confonderla con la mia vita. Che mi sentivo come chi fugge nelle pagine di un romanzo perché gli oggetti del suo amore sono soltanto ombre che vivono nell'anima di uno sconosciuto”. (Daniel)

Accanto a sé, ci saranno personaggi particolari. Primo fra tutti, Fermìn Romero de Torres, un misto fra Don Chisciotte e Sherlock Holmes. Personaggio ironico, dalla battuta sempre pronta, ma nella sua stramberia si rivelerà un uomo saggio e dalle mille sfaccettature.

A.
 

Il cuore della donna è un meccanismo complesso, insensibile ai rozzi ragionamenti del maschio avventuriero. Se si vuole davvero possedere una donna, bisogna imparare a pensare come lei. Tutto il resto, il morbido involucro che ti fa perdere la ragione e l'onore, viene di conseguenza”. (Fermìn)

"Come ci insegna Freud, la donna desidera il contrario di ciò che pensa o afferma, il che, a ben vedere, non è affatto un problema, in quanto l'uomo, come tutti sanno, obbedisce invece agli stimoli del proprio apparato genitale o digestivo". (Fermìn)

I libri sono specchi: riflettono ciò che abbiamo dentro”.
  

Titolo: L’ombra del vento
Titolo originale: La sombra del viento
Autore: Carlos Ruiz Zafón
Anno di pubblicazione: 2004
Edito in Italia da: Oscar Mondadori
Pagine: 439
Giudizio: 9
Lo consigli? Certamente
A chi? A chi è appassionato di romanzi storici, ma che abbiano anche una trama avvincente, intrigante.


Sul bianco, sul rosso e sulla potenza dei sogni
"Una volta con Dio mi sono davvero incazzato". Il microfono a... Alessandro d'Avenia

Possagno (TV), 11 febbraio 2011
ore 20.30
V. lo ha incontrato.

Alessandro d'Avenia è esattamente come lo si immagina.
Non troppo alto, per niente robusto, quello che definiresti all'unanimità "un bel ragazzo", con i capelli lasciati all'opera del vento, gli stessi delle quarte di copertina.
Il libro dove il suo viso di professore di liceo e scrittore palermitano è diventato famoso è Bianca come il latte, rossa come il sangue.
Romanzo d'esordio, e pensi che non è possibile, che un autore così dovrebbe avere alle spalle una bibliografia lunga un chilometro.
Dato alle stampe agli inizi del 2010, e pensi che non è possibile, perché sono così tanti gli studenti, i genitori, gli insegnanti di tutta Italia che hanno amato la storia di Leo e Beatrice e che oggi si rivolgono ad Alessandro con l'affetto che si dimostra a un amico.
Che cos'ha di speciale questo libro? Me l'hanno chiesto stasera, mentre aspettavamo nella sala convegni della mia vecchia scuola, a Possagno. Ho scelto la risposta più banale che chiunque voglia consigliare una lettura a qualcun altro possa scegliere: "Non lo so" ho balbettato. "È poesia in prosa" ho aggiunto per salvarmi.
Poesia in prosa... e che cosa vuol dire?
Non lo si capisce fino a quando i protagonisti di Bianca come il latte, rossa come il sangue non entrano nella tua vita di lettore. C'è Leonardo, un sedicenne come tanti, tutto chiacchiere, motorino, calcetto con gli amici, e un segreto, premuto in fondo al cuore, anzi due: l'amore, assolutamente inconfessato, per una ragazza più grande, una dantesca Beatrice dai capelli rosso fuoco, e la paura, una paura intima, viscerale, nauseante per il colore bianco. E per tutto ciò che rappresenta, ovviamente: assenza, vuoto, perdita, morte. Perché queste cose, in un anno scolastico cominciato come tutti gli altri, improvvisamente si affacciano nella vita di Leo e, scomponendogli qualsiasi piano, lo faranno "crescere e invecchiare in soli duecento giorni". La leucemia (di chi? Non ve lo dico!), la perdita, lo strazio. E sullo sfondo una migliore amica, Silvia (quella del Petrarca?), e un prof. ribattezzato "Il Sognatore" che riporta sulle pagine le emozioni de L'attimo fuggente e di quell'insegnante che ha il coraggio di salire sopra a un banco, di vedere le cose da un'altra prospettiva e di pregare i propri alunni: "Date una possibilità ai vostri sogni".
A dirla così non sembra altro che una semplice, e tristemente banale, storia di adolescenti.
Ma perché allora i produttori cinematografici che ne vogliono fare un film hanno apostrofato l'autore: «D'Avenia, lei ha scritto un libro trasgressivo»?
Ce l'ha spiegato lui, dopo essere stato accolto da un applauso ed essersi seduto togliendosi cappotto e sciarpa blu.
Ha detto: «È un libro trasgressivo per tre motivi: si parla di un insegnante che ama fare il suo lavoro, si parla del dolore della morte e si parla di Dio».
Chiusi i giochi. Ci si accorge subito che qui siamo anni luce da qualsiasi aspirazione mocciana.
«Ho voluto raccontare un mondo che pochi raccontano - ha continuato - Un mondo fatto di ragazzi normali, di una normalità che nessun intercetta perché a volte fa più scalpore raccontare di ragazzi deviati e "cattivi"».
È diretto, Alessandro d'Avenia, non usa paroloni. In sala ci sono anche ragazzi delle medie, ma non sarebbe comunque nel suo stile.
Scherza sui suoi esordi di insegnante con un'autoironia autentica, che non diventa mai macchietta: «Il mio primo giorno di scuola da professore mi sono voluto togliere subito uno sfizio: fare pipì nel bagno degli insegnanti. Una cosa che quando sei studente è sempre off limit, perché tu hai i tuoi bagni, loro hanno i loro. Fu una soddisfazione. Ma quando una bidella mi trovò al lavandino a sciacquarmi le mani, mi gridò di uscire: pensava fossi uno studente».
E non è poi così tanto diverso dai suoi alunni, Alessandro. La differenza d'età è forse minore di quella di qualsiasi altro professore (classe 1977) e di certo quando parla di ragazzi, lui sa di cosa sta parlando: «Essere adolescenti significa essenzialmente essere guardati dagli altri. Quando un ragazzo si chiude in bagno è simile a Narciso: si osserva, osserva quella faccia e si ripete che non riuscirà a mostrarsi al mondo con quella faccia. In quel momento sta annegando, annega dentro se stesso, come Narciso».
Lui i ragazzi li conosce. Li ha davanti tutti i giorni, 20 o 40 alla volta, e tutti i giorni cerca di costruire con ognuno un piccolo miracolo.
«Ricordo questa ragazzina. Primo giorno di scuola, prima liceo. Una frangia davanti agli occhi impenetrabile. Stop. Nessuna possibilità di dialogo. Quando venne l'ora del cambio dei posti (lei era sempre stata in prima fila) un suo arguto compagno chiede se può essere messa dietro "perché tanto non parla mai". Risposi: "Guarda, sono così rari i momenti in cui riesco a vederle gli occhi, che non voglio perdermene neanche uno. Ogni volta per me è una festa, quindi voglio che resti davanti, se lei non vuole cambiare". Da quel momento la ragazzina cominciò a mettere il cerchietto e a mostrarmi il suo viso senza più paura».
Perché la nostra vita è questo, secondo Alessandro: mettersi al servizio degli altri. «È nella natura dell'essere umano. Noi siamo al mondo per servire la vita degli altri. Non potrebbe essere altrimenti per noi uomini e donne così fragili, così indifesi. È questo l'amore, è questo il rosso» E gli inglesi lo sanno bene: "I love you" non è un'espressione pronunciata solo da labbra innamorate, corrisponde anche al nostro più comune: "Ti voglio bene". Quante volte diciamo "Ti amo"? Quante volte lo dimostriamo?
«Essere amati non significa sentirsi amati», come se l'amore fosse quella capacità di sorprendere e di farlo con assoluta gratuità e soprattutto facendolo percepire. «Voler bene nasce dalla nostra creatività. I modi per voler bene sono infiniti: dobbiamo solo avere il coraggio di sperimentarli».
Ed è così, con una telefonata solo per chiedere "Come stai?", che il vero amore viene comunicato. E prende il volo e si moltiplica. «Amare significa prendere parte alla vita delle persone che abbiamo a fianco. Non si ama a parole, ma facendo cose insieme alle persone che amiamo. Facendo cose che piacciono a noi, che piacciono a loro, dando un esempio di amore. Come posso pretendere che i miei alunni studino Dante se glielo impongo a parole? No, mi devo presentare la mattina a lezione con le occhiaie e dire loro che questo libro non mi ha fatto dormire talmente era bello. Allora mi chiederanno, mi interrogheranno e incuriosendosi verranno conquistati. Solo se Dante ti cambia la vita, lo puoi insegnare. Solo se Dante ti cambia la vita, puoi sperare che la cambi a loro».
Eccolo, dunque, l'amore per l'insegnamento, quello unico, carnale, quello giunto per vocazione.
E il dolore? Quando arriva il dolore, tutto questo, tutti questi bei sentimenti e propositi rimangono in piedi? «Convivere con il dolore significa ricordare che il dolore non è più grande della vita, ma è al suo servizio. È ciò che ci ricorda che la vita non è nostra, che non ne siamo gli unici padroni, che se la vuoi affrontare lo devi fare con tutto il coraggio che non hai».
È questo il bianco del libro. "Il bianco è un colore che non sopporto" esordisce Leo a pagina 9 "Non ha confini. Anzi il bianco non è nemmeno un colore. Non è niente, come il silenzio. Un niente senza parole e senza musica. Non so rimanere in silenzio o da solo, che è lo stesso. Mi viene un dolore poco sopra la pancia, o dentro la pancia, non l'ho mai capito". Alessandro, in un tema in classe, ha chiesto ai suoi alunni cosa pensassero immaginando il colore bianco. Sorprendenti le risposte (perdita, abbandono, morte), per un colore che spesso gli adulti collegano a un'immagine di luce.
Sì, stiamo parlando di morte, con Alessandro d'Avenia, ma non c'è tristezza nell'aria, solo la semplicità di parlare senza tabù di un pensiero che spesso non trova voce.
«Mi scusi - interviene un signore dalle prime file - Tutto quello che dice è interessante, ma se la vita non è nostra, significa che c'è qualcosa prima di noi che "interviene", che la spiega questa vita».
Non ci credo: siamo arrivati alla teologia. E ci sono dei ragazzini. "E adesso? - mi chiedo - Dove andremo a parare?".

Ma qui Alessandro mi stupisce: «I ragazzi me lo chiedono spesso: nel libro di parla di morte, di dolore: qual è il tuo rapporto con Dio? Io non sono sempre stato molto contento di Dio. Quando avevo 17 anni, mi lasciarono una mia cara zia, per tumore, e il mio professore di religione, ucciso dalla mano della mafia. Quante volte gridai: "Dio è cattivo!". Un'infinità. Ero arrabbiato, ero incazzato nero. La domanda mi è rimasta sospesa in testa per anni: perché? Poi conobbi Geremia. Sì quello dell'Antico Testamento. Un tipo simpatico, Geremia, balbuziente, un po' sfigato, gli vuoi subito bene. Cosa succede nella Bibbia? Succede che Dio gli affida il compito di diventare suo profeta, di parlare per lui alle genti. "Che mi prendi in giro?" si chiese Geremia. Balbuziente e pure timido... come poteva essere lui un profeta? E Dio cosa gli risponde? "Tu dubiti, ma io ti conoscevo ancora prima che tu entrassi nel grembo di tua madre". Fu un'illuminazione. Geremia infatti riuscì a fare ciò di cui non era capace, ma qualcosa che Dio aveva già progettato per lui. Pensate: se davvero tutta la storia è stata tramata affinchè ciascuno di noi diventasse quello che siamo; se davvero già dagli Assiri, dai Romani, dai Greci, ogni più piccola azione fosse destinata a questo, a plasmarci nella nostra forma... cosa significa? Significa che, pur con tutti i nostri limiti e i nostri "difetti di fabbrica" possiamo fare qualcosa di grande».
È un profondo credente, d'Avenia, e non è difficile prendere le distanze da quello che dice. Secoli di laicismo lo contraddirebbero a spada tratta, demolendolo in un istante, negando tutto e richiamando cose come il Big Bang, l'evoluzionismo, la morte biologica...
Niente di tutto questo sfiora Alessandro e la sua... "fede"? Vogliamo chiamarla così?
No, credo che quello di Alessandro sia più un pensiero che gli tiene compagnia e che lo aiuta a guardare tutto con occhi diversi. «È facile pensare che Dio ci trovi. Se siamo bravi, Dio verrà da noi, la credenza è questa. Ma invece siamo noi che dobbiamo farci trovare. Il sogno che il Sognatore dice a Leo di cercare è questo, è tutto racchiuso qui. I sogni non sono illusioni. Le illusioni cadono, le illusioni muoiono. I sogni no. Perché nei nostri sogni non siamo mai soli. I sogni sono reali, perché siamo il progetto, il sogno di qualcuno».
Scrivo questa frase sull'ultima pagina del suo libro, che ho in borsa. Non smetto di leggerla: i sogni sono reali, perché noi siamo il sogno di qualcuno.
Mi tocca il cuore, mi muove qualcosa. Mi sento meglio.
Alessandro ha fatto vibrare una corda. Non capisco quale sia, e anche adesso mentre scrivo non so descrivere la sensazione.
È fiducia? È speranza? Cos'è?
Quando viene il momento degli autografi, sgancio la domanda. Gli chiedo, restando in tema di colore bianco, quali sono i segreti per vincere l'ansia da pagina bianca.
«Vedi, il bianco è solo paura. Paura perché nel bianco ci sono tutti i colori, tutte le possibilità, tutte le combinazioni e nessun confine, nessun paletto. Ma avere paura è segno che qualcosa sta nascendo. La sofferenza è segno che qualcosa si sta mettendo in moto. Non avere paura di cercare le parole. Come ha scritto Ungaretti:
"Quando trovo in questo mio silenzio una parola scavata è nella mia vita come un abisso".  
È fatica, è sacrificio, ma non smettere mai di cercare le parole giuste».
Dice proprio così la dedica che mi ha lasciato: "A Valeria, perché non abbia paura del bianco. Non smettere di cercare le parole giuste. Con affetto, Alessandro d'Avenia".
Credo sia questa la lezione che mi sono portata a casa questa sera, e di mezzo c'è sempre lei, la paura.
Ma il contrario della paura non è il coraggio estremo, sfrontato.
La paura non si vince ruggendo, come ha detto qualcuno, ma dicendosi sottovoce: "Proverò ancora domani".
Con la speranza, quella sì (perché no?) che il bianco, per quanto mi riguardi, resti davvero solo un colore. Magari quello di moda per la prossima estate...
V.


L'amore della tua vita può aspettare tutta la vita?

Tutto il significato di Un giorno di David Nicholls è racchiuso nella copertina.
Ci sono i profili di due visi,
uno femminile, nell'altro, maschile, si intuisce una frangia.
Sono i protagonisti, vicini e con le labbra socchiuse,
ma non abbastanza da potersi toccare,
abbandonandosi al bacio.
La storia inizia il 15 luglio del 1988.
È la notte dopo la consegna dei diplomi di laurea.
Emma Morley e Dexter Mayhew si innamorano quella notte, tra quelle lenzuola,
ma l'amore non fa per loro. Lei, carina, intelligente e intransigente, lui un mascalzone, eterno Peter Pan. Così affiatati, non potrebbero essere più diversi.
Passano gli anni, uno per ogni capitolo,
mentre Nicholls ci racconta il dipanarsi delle loro vite,
a volte separate, a volte vissute sulla porta accanto.
Il giorno descritto è sempre lo stesso, il 15 luglio.
Un giorno afoso, confuso, dove l'autore riepiloga i fatti dei 364 giorni precedenti, dove agli amanti occasionali si intrecciano delusioni, proposte di matrimonio, impieghi degradanti in ristoranti messicani o in programmi televisivi di secondo ordine.
Come due fili tessuti da un destino (destino?) dispettoso, le vicende di Emma e Dexter si intrecciano senza mai dare vita a un disegno di felicità.
19 lunghi anni, senza mai confessare i propri sentimenti, senza mai dire a se stessi che è amore.
Una storia d'amore che prende in giro l'amore,
il romanticismo declinato al ventunesimo secolo,
una struttura narrativa semplice ma che tiene sulla corda, che spinge a girare pagina per cercare il lieto fine, e tu lettore ti trovi a urlare: "Diglielo, diglielo che lo/la ami!".
Coinvolgente,
irresistibile,
cinematografico.
Ha la forza visiva dei libri di Guillame Musso,
l'ironia e lo spirito che strizzano l'occhio a Jane Austen.
Conferma la mia predilezione per le opere firmate Neri Pozza.
Presto sarà un film? Incrocio le dita.
Mi è stato prestato, ma non credo che resisterò senza comprarlo.
V.
"La cosa più importante per me è segnare sempre una differenza - disse lei - Insomma, cambiare qualcosa, capisci?"."Tipo 'cambiare il mondo'?"."Non tutto il mondo. Soltanto il piccolo pezzo di mondo attorno a noi".
Titolo: Un giorno
Titolo originale: One day
Autore: David Nicholls
Anno di pubblicazione: 2009
Edito in Italia da: Neri Pozza Editore
Pagine: 491
Giudizio: 9 e mezzo
Lo consigli? Assolutamente sì.
A chi? A chi non sopporta le sdolcinerie, la narrazione lenta. A chi ama il sentimento, anche nella sua forma più silenziosa.

2 commenti:

  1. io vorrei suggerire un libro:
    la moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo.

    lo consiglio a voi

    "È dura rimanere indietro. Aspetto Henry senza sapere dov'è e se sta bene. È dura essere quella che rimane."

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  2. Grazie A. S. del tuo consiglio!Ho dato una sbirciatina sul web e mi pare davvero un libro interessante!Ora mi hai proprio messo la curiosità di leggerlo!E magari fare anche una recensione!;-)

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