sabato 29 gennaio 2011

DONNE INVISIBILI?

Chiudo con uno scatto il portatile.
Mi stropiccio gli occhi e guardo l'ora.
Per oggi basta. Devo andare: le "ragazze" mi aspettano.
E dire che è nato tutto per scherzo, per un desiderio inconfessato, ma segretamente condiviso, di sentirsi "rinnovate"...
Afferro scarpe, borsa e cappotto e getto la Modus in una corsa affannata sulle strade lucide di pioggia.
"Ho preso il biglietto?". Frugo nelle tasche: sì, il biglietto c'è.
Quando arrivo in pizzeria,
le "donne" sono quasi tutte lì.


C'è Angi, seduta in un angolo.
Si è colorata i capelli. Di nuovo. Passa dal biondo al castano a una velocità che ancora mi sorprende. A volte, sulle prime, fatico a riconoscerla. Ma si sa, quando una donna cambia vita comincia dalle proprie chiome. E una casa nuova non vale questo cambiamento?
La bacio sulla testa prima che si giri. Sta scrivendo al cellulare e mi mormora un "Ciao" rapido senza pensare. Aspetto che finisca, e intanto la guardo eccola la mia parrucchiera talentuosa, che ha preso, ha fatto fagotto e da una settimana vive in un appartamento lontano dalla famiglia con altri due coinquilini condividendo cucina, bagno e i fastidi di una vita in comune. Ha 20 anni in fondo, che fretta c'è. Avevo provato a chiederle "Perché?". In risposta solo un: "Perché non voglio ritrovarmi come mio fratello, a 30 anni ancora a casa di mia mamma". A casa di mia mamma. Quella non è già più casa sua. Angi ha fatto la valigia, e dentro ci ha messo un progetto. Nulla di importante, solo quello di diventare donna. Da sola.

Poi arriva Diana.
Diana è bionda, elegante, mamma e assessore alla cultura.
Fatico ancora a comprendere i meccanismi che le permettono di essere tutto questo assieme in una sola persona. Nel cassetto una laurea in lettere, al pomeriggio studenti più o meno annoiati da aiutare nella faticosa ascesa al 6+ in latino.
Si sveste rivelando al polso un bracciale in oro a forma di geco, che guardo luccicare rapita, e borbottando qualcosa come: "Scusate... ritardo... cena... bistecche... bambini... doccia...".
Una "dea della caccia" moderna, forte, indipendente. E un amore per la sua famiglia sconfinato. E la volontà di costruire un'educazione solida per i suoi figli, fatta di bon ton e di principi che non c'è verso, non si discutono.
Mio papà, con il suo solito sarcasmo, direbbe: "A ze ea che porta e braghesse!" ("È lei che porta i pantaloni").
Diana afferra il menù e picchietta una gocciolina di sudore che le stava scendendo dalla fronte.
Diana ha un bel marito. Lo conosco di vista, e in un paio di occasioni ci hanno anche presentati.
È un bell'uomo: alto, brizzolato, con quel fascino proprio di chi sa di avere fascino.
Penso ai racconti di lei,
alla gelosia di lui.

Lui che negli incontri di paese si infastidisce se lei fa "pubbliche relazioni" salutando chi conosce. "Devi proprio farlo?".
Lei che evita gli incontri con il parroco, le recite in teatro, "perché il sabato si sta a casa".
Lui che il sabato affonda nel divano, mentre i bambini giocano con il nonno, mentre a fare il papà ci pensa qualcun altro.
La porta si apre, una lama di freddo si insinua nella stanza, Daniela entra avvolta nel pesante cappotto.
È affannata, ha il viso stanco.
"Samuele non ne voleva sapere di andare a letto".
Daniela fa la mamma. Ama fare la mamma. E la casalinga. Le piace fare anche quello.
I compiti del pomeriggio, lo sport, il catechismo. Lei, così, si sente realizzata.
Sì, realizzata. Realizzata nell'involucro di dolcezza e severità in cui sente di essere nata e che ha fatto del suo senso materno un lavoro a tempo pieno.
Sì, il lavoro. Suo marito ha detto che deve trovarsene uno. Perché le spese. Le bollette. I libri di scuola. I soldi non bastano.
Ma cosa può trovare una mamma? Una mamma che alle 8 è ai cancelli delle elementari e a mezzogiorno ci ritorna puntuale come uno svizzero. Chi glieli va a prendere i bambini a scuola? E sperare in un part-time è da folli, oggi.
"Andrò a fare il turno di notte" la sento dire a Diana mentre cade sulla sedia. "Andrò a fare il turno di notte".
Ne sarebbe capace, Daniela. Pur di stare con i suoi "mostri", pur di essere lì quando papà arriva, "stanco dal lavoro" e occupando il divano spegne i pensieri e si affida alla voce metallica del televisore. "Bambini, andate in cucina, stasera no". Stasera no.
Ogni sera è "stasera no". E intanto i bambini crescono, papà. Loro crescono e quando non cercheranno più il tuo abbraccio la sera cosa sarà rimasto di te, "papà"? Quali ricordi, quali... rimpianti?

Ma basta, con i pensieri tristi. Stasera è la nostra sera, donne. Simo è arrivata, c'è anche Regi, sta posando la borsa. La sua voce roca riempie la stanza di risate. Il tumore se l'è portata via, la sua voce. Prima c'è stato un marito affettuoso quanto lo spigolo di un mobile ("Sono caduta, non è niente"), poi la sua partenza, per chissà dove, un maschietto da crescere e finalmente l'amore della sua vita, la seconda possibilità. Il tumore, lo stesso tumore, si è portato via anche quella.
C'è Ci, con la sua gonna cortissima, i capelli sotto l'orecchio e la cocciuta convinzione che gli uomini siano tutti uguali.
C'è la Ros. È bellissima, con quella cosa rossa come il fuoco e un ventaglio con cui allontana il calore della menopausa. Non ha mai potuto avere figli, la Ros. Ma "la mamma" che aveva dentro era troppo forte per restare senza vita, e così per anni ha badato ai bambini dei vicini, aiutandoli con l'italiano e la matematica e comprando loro qualche vestito. Sono stranieri, questi bimbi. Slavi, rumeni, poco importa. Extra comunitari basterebbe. Basterebbe per allontanarli. E invece la Ros li ha tenuti così vicini da sentirsi più mamma di chiunque altro.
Rita, Valentina, Lucia. Ci sono tutte.
Anzi no, manca lei la festeggiata.
Mamma Margherita arriva di corsa accusando "questi parcheggi sempre pieni".
Oggi è il suo compleanno.
Le consegno il biglietto, quello che ho preparato.
È una tradizione nel nostro club.
Ogni compleanno è il nostro momento, è il momento per il nostro "club" di ritrovarsi insieme, di ricordare le une alle altre che oltre ai fili del lavoro, delle convenzioni, del sacrificio che ci legano come marionette, ci siamo noi, "femmes renouvelees", "donne rinnovate", donne che hanno fibra, polso, coraggio.
20, 25, 50 anni: quanti ne abbiamo non importa. Ogni attimo è quello giusto per "rinascere", per dire "no", per cambiare le cose, fidanzato, vestito, divano, abitudini. Ogni attimo è quello giusto per "vivere" come abbiamo sempre desiderato. Uomini o non.
Quante donne ci sono come loro, come le mie "donne"?

Donne invisibili,
che si alzano silenziose con l'alba,
che silenziose stirano la sera,
ascoltando con un orecchio la radio e con l'altro il respiro di chi dorme già tranquillo.
Donne invisibili, con le mani rovinate,
con i capelli spenti,
donne "multi tasking",
donne avventuriere,
donne che non chiedono, donne che danno.
La mia mamma legge il biglietto:

Il cuore di una donna non muta col tempo, né si altera col passare delle stagioni. Il cuore di una donna combatte a lungo,ma non muore [...] quel cuore è fedele a se stesso, imperturbabile, placido e sicuro di sé; su di esso la primavera rimane primavera e l'autunno è autunno, fino alla fine del tempo
(Ali spezzate, Kahlil Gibran)

Non è questione di superiorità sull'uomo,
né di maggiore intelligenza
o bravura.
Penso alla mia mamma che è arrivata di corsa, dopo di me, di corsa perché non poteva partire senza aver prima preparato la cena al papà, messo andare la lavatrice, dato da mangiare al cane, rassettato la lavanderia. E quando torneremo a casa il lavandino sarà pressato da un pila sbilenca di piatti, perché "lo sai che tuo papà i piatti non li lava".
Ogni volta che succede, apro la bocca per replicare ma lei mi zittisce.
È così. E basta.
Questo ruolo, a tratti irrispettoso, ancora così potente, non muore. Nonostante tanto sia stato fatto, nonostante tanto si sia combattuto.
Nonostante i pantaloni,
l'8 marzo,
nonostante le pari opportunità.
Per questo credo che la donna abbia in sè qualcosa di arcano.
Una spinta alla cura, alla dedizione radicata in lei forse intrinsecamente.
Non c'è spiegazione alla forza della donna.
Non c'è limite alla sua pazienza.
Le donne che conosco io sono così.
In silenzioso conflitto con gli uomini che hanno a fianco, ma innamoratissime di loro e della loro vita, nonostante tutto.

Finisco di scrivere il post e il telefono brilla vibrando rumorosamente.
Alessandro, giornalista, con cui collaboro, mi dice che la conferenza stampa di cui mi parlava è fissata per domani alle 18.
Poi un lungo sospiro.
"Stanco?" gli chiedo.
"Una giornata infinita. Il Sole 24 Ore mi ha richiesto un servizio sul congedo di paternità nel Nord-Est. Ho fatto mille telefonate, chiedendo che mi raccontassero la loro storia, ma ci credi che neppure uno è mai stato a casa neppure un mese quando sono nati i figli?".
È la cultura.
È così.
Cos'è?
Maschilismo?
Io non l'ho detto.
L'avete pensato voi.
V.

3 commenti:

  1. Ciao, mi potresti dire che dipinto è quello nella seconda immagine? Grazie :)

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  2. Ciao!
    Dovrebbe essere di August Renoir :)

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