mercoledì 23 febbraio 2011

COME FLASH DANCE

Una storia d'amore "in punta di piedi"

La prima volta che la danza mi trovò fu sopra una nave da crociera.
Viaggiavamo con la Grecia all'orizzonte. Fuori il mare era limpido come uno specchio, e a bordo della Bolero c'erano la piscina e un'aria di festa che non si dissolveva neppure a notte fonda. Ogni sera una meravigliosa sala per i ricevimenti si riempiva di musica e lustrini.
Fu proprio di ritorno dalla cena, uno dei primi giorni, che trovai a sbarrarmi la strada le creature più belle che avessi mai visto.

Erano alte, che ne so, forse due metri, e avevano questo vestito leggero rosa e viola con gli orli sollevati e una penna sulla testa ("Di struzzo!", pensai) che sfiorava il soffitto. Fermavano gli ospiti per una foto ricordo.
Ero piccola (avrò avuto sette anni), e non potevo capire che gli sguardi dei turisti erano attratti soprattutto dalle calze a rete e da quelle giarrettiere sfoggiate con tanta disinvoltura. Tutta la mia emozione in quel momento era magnetizzata dal fatto che quelle due bellissime ragazze che mi stavano stringendo la mano e che attiravano così tanti flash fossero più che semplici ragazze: erano ballerine.
Di can can, di bourlesque, cosa ne sapevo all'epoca? Quelle creature divine erano ballerine.
"Ok. - mi dissi - Appena tocco la terra ferma, io voglio diventare come loro, voglio diventare una ballerina".
Troppo romanzato? Ma nella testa dei bambini tutto diventa una storia meravigliosa. Quando calpestai per l'ultima volta il pedalino della nave, avevo questo sogno incastrato tra i riccioli, e i piedi che fremevano come sopra a delle suole da tip tap.


Ma si sa, neppure Dante arrivò al Paradiso per via diretta.
A lui toccò la tangenziale dell'Inferno. A me toccò la danza classica.
Non mi sentivo (anzi non ero) portata le scarpette con la punta (ero una di quelle bambine perennemente in salopette che giocava a calcio sotto casa e con le ginocchia sbucciate).
Ma non mi importava. Se quella era la strada, tanto meglio.
E poi già allora ti veniva detto che "la danza classica è la base per tutte le altre discipline". Alessandra Celentano non è stata mica una pioniera in questo e anch'io ci credevo. Insomma, se lo dicevano "loro".
A incoraggiarmi c'era anche la mia cugina preferita, che aveva interpretato la parte di Cucciolo in Biancaneve e i sette nani, con tanto di tutù e sopra un palcoscenico.
E io niente? Figuriamoci.
Tentai.
Scuola di danza, spogliatoi, parquet in legno, sbarra... tutto regolare. Mi sentivo così eccitata! "Guardatemi! Danzo la classica, danzo la classica!". Non ero ancora entrata in sala, ma poco importava. Avevo l'entusiasmo alle stelle.
Quando però mi ritrovai vicino a tante altre bambine in versione salsicciotti strizzati dentro a un body e fastidiosamente "bravine",
c'erano un paio di calzetti bianchi anonimi,
una totale ignoranza di qualsivoglia posizione,
e quelle Carla Fracci in formato mignon
a gridarmi nella testa: "Che 'cce stai a 'ffa qui?".
Volevo precipitarmi alla porta e scappare via, con nuvola di fumo annessa. Tze.
A ripensarci, credo che il mio senso dell'ironia sia nato quel giorno.
L'epos "Io e il balletto classico" finì. Il cuore un po' spezzato, ma presto rimarginato con qualche sana pedalata in bicicletta imitando quelli di Pacific Blue. I bambini hanno una specie di "balsamo" guaritore, in questi casi (che poi perdiamo, o scade, e allora arrivano le prime delusioni, quelle "serie", d'amore, e siamo fregati).
Ma la danza? Fu lei a venirmi a cercare di nuovo.
A me piace pensare che sia così.
C'era una palestra, nella periferia del mio paese. Una di quelle vecchie, annessa a un collegio di suore, dove prima studentesse in pantaloncini e calzettoni giocavano a pallavolo. Aveva attrezzi in legno sparsi dappertutto, che sembrava dovessero disintegrarsi sotto i morsi delle tarme da un momento all'altro. Ma le pareti erano altissime, e il soffitto sembrava immenso. Una specie di cattedrale. Così mi si mostrò la prima volta che ci entrai. Fu un brivido, un bagliore che percorse gli specchi lunghissimi. La sensazione, allora non del tutto compresa, che in quel posto abbandonato alla polvere sarei stata felice.
La maestra, Eliana si chiamava, cercava bambine della zona per iniziare un corso di ginnastica artistica e funky.
Non mi vennero grossi dubbi. Ginnastica artistica era pur sempre ginnastica, quindi niente tutù, e il funky... non avevo nessuna idea di che cosa fosse, ma la maestra Eliana aveva la tuta e grandi scarpe con la suola di gomma. Nessuna scarpetta o calze soffocanti. Ero salva. (E poi funky mi ricordava tanto una parola imparata a scuola, durante l'ora di inglese... cos'era... "monkey"? Sì, monkey. E a me le scimmie piacevano).
L'amore con la ginnastica artistica durò sette lunghi 
Non andò sempre tutto benissimo. Lo ammetto per onor di cronaca.
Quando si trattò di imparare a fare la ruota, per esempio. Ecco lì, qualche dubbio piccolo piccolo mi venne su tutta la faccenda.
Funzionava così: mani in aria, gamba destra alzata, giù il piede, tira su l'altro e apriti!
Sì, apriti... la facevano facile. L'inghippo capitava proprio a questo punto, quando dovevo aprire le gambe imitando le assi di un ruota di un carro. Ma loro restavano appiccicate in corrispondenza della giuntura del ginocchio.
Una disgrazia.
La maestra arrivò a farmela fare al rallentatore. Niente. Mi chiudevo con lo scatto di una tagliola.
Però il brivido e la lieve vertigine che mi presero quando finalmente riuscii ad aprirle, quelle gambe, me lo ricordo, eccome se me lo ricordo.
In atterraggio arrivai distesa sul materassino con tutti i capelli sulla faccia, ma quel pulsare velocissimo che mi rimbombava nel petto non l'ho più dimenticato.
Da quel momento il brutto anatroccolo della danza classica si trasformò in un piccolo cigno.
No, non pecco di superbia. In realtà quello che intendo è che mi sentii diventare cigno dentro.
Succede sempre con le cose che piacciono davvero. Ma forse non è neanche questione di "piacere". In quei momenti si attiva una parte del cervello che prima dormiva, e che poi comincia a "brillare" come durante una Tac. Milioni di sinapsi ti caricano di adrenalina, e tu senti che ti viene regalata una fetta di mondo, e in quella parte di mondo sei completo. Perfetto. Sdolcinato? Ma dal "giorno della ruota" la danza per me è sempre stato esattamente questo. Niente di più, niente di meno.
Scoprii che il funky non c'entrava niente con le scimmie ma era più simile all'hip hop,
che si dice "capovolta" e non "capriola"
e che la rondata non è un fallo calcistico.
Dopo qualche mese arrivarono le prime coreografie,
il primo saggio.
Everybody dei Backstreet Boys è stata la nostra hit per mesi. E mi ricordo pure come iniziava: passo alternato sul posto.
Un e due, tre e quattro, cinc' e sei, sett' e otto.
E via, questi otto tempi, ripetuti all'infinito.
Mi ricordo che un'estate dovevamo ballare all'aperto (forse a Cavaso), in una grande piazza, o forse era un campetto sportivo. Per terra c'era un tappetino enorme che copriva tutto lo spazio. Un mare di gommapiuma.
La maestra Eliana ci aveva fatto mettere un body nero e un fiore di cartapesta sul petto, ad alcune giallo, ad altre, come me, arancione. Quel body ce l'ho ancora, e qualche volta lo tiro fuori e immagino il mio corpicino in movimento dentro quel tessuto elasticizzato. E mi viene nostalgia.
All'ultimo spettacolo, invece, avevo quasi 14 anni.
Quella volta per la musica era toccato a J-Lo, e dovevamo farci un chicchetto per ogni ciocca. Abbinate i miei capelli a questa idea e otterrete un pagliaio in movimento (ero pure in prima fila). Ma fu meraviglioso.
Perché smisi? Ero l'ultima rimasta dell'originario gruppo della palestra impolverata, le altre veterane avevano tutte mollato da un pezzo. Avrei potuto continuare con delle ragazze di un altro paese, ma decisi di appendere le scarpette al chiodo.
Ma la dipendenza è dipendenza. E se non dipendi da una dipendenza, che dipendenza è?
Così ho ricominciato.
In versione più hot, con la foga dei balli caraibici, ma ho ricominciato.
Adesso le scarpette hanno il tacco e un nastro che sale verso la caviglia,
le ginocchia non sono più sbucciate
e il bacino si muove con un impeto all'epoca sconosciuto,
ma in fondo, sotto trucco e parrucco, c'è ancora quella bambina,
con i suoi denti storti, i capelli incontrollabili, sorridente vicino a due sconosciute ballerine, e, come insegna Pieraccioni, con quella "passione vera, potente, carnale" per i passi di funky e le giravolte in punta di piedi.
Perché "ballare è la poesia dei piedi" (John Dryden),
è "l'espressione in verticale di un desiderio in orizzontale" (Robert Frost)
è qualcosa "capace di far muovere l'aria che si respira e far battere il cuore all'impazzata" (Christopher Huggins).
E pensare che in crociera non ci volevo neanche andare.
V.

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